Discorso introduttivo del vicepresidente don Alessandro Clemenzia al primo incontro de L’arte, luogo di incontro tra religioni e culture
Pubblicato il 02.11.2020L’arte, luogo di incontro tra culture e religioni
Scuola Fiorentina di Alta Formazione
per Dialogo Interreligioso e Interculturale
C.I.S. Giorgio la Pira, 22 ottobre 2020
Iniziamo, oggi, questo interessante percorso che non pone le tre esperienze religiose, quella musulmana, quella ebraica e la fede in Cristo l’una di fronte all’altra (come solitamente avviene nel dialogo inter-religioso). L’una non è di fronte alle altre (rapporto dialogico) ma è accanto alle altre, rivolte tutte con lo sguardo verso un’unica direzione, verso un “oggetto” preciso: l’arte, colta quale luogo d’incontro tra culture e religioni.
La scelta di questo comune oggetto del guardare si inserisce perfettamente all’interno del contesto fiorentino, dove l’arte esprime il cuore e l’intelligenza, e cioè la fede, di un popolo. Ma c’è di più. L’arte è capace di esprimere non soltanto la dinamica del soggetto credente ma anche (paradosso dei paradossi) l’oggetto del credere.
La Bellezza è sia il modo attraverso cui l’uomo vuole raffigurare l’esperienza più profonda della propria religiosità, sia (per noi cristiani) la grammatica usata da Dio per dire Se stesso.
Oggi, in particolare, affrontiamo il codice musicale. Per l’esperienza cristiana la musica è tanto un linguaggio per “dire” Dio, quanto lo strumento comunicativo attraverso cui Dio raggiunge le sue creature. In una melodia (vale a dire un discorso musicale) la musica può essere costruita verticalmente, dall’alto verso il basso, con un insieme di particolari note (suoni consonanti e dissonanti). Oltre che verticalmente, la musica può essere costruita anche in altri modi. E qui, con l’aiuto di alcuni amici specialisti, sono arrivato a conoscere il “contrappunto”, vale a dire un dialogo tra più voci, in cui la musica è concepita non secondo accordi verticali, ma in parti orizzontali (contrappunto: contra e punctus, punctus contra punctum); e quando le diverse voci (indipendenti l’una dall’altra) arrivano a toccarsi, formano, in un’armonia dinamica, un “accordo”. Nel contrappunto si viene a creare un accordo dinamico, dove i singoli elementi che lo compongono, non solo non si adombrano tra loro, ma sono necessari l’uno all’altro, per l’altro e per sé, ciascuno rimanendo se stesso.
È la musica stessa a spiegare il ritmo relazionale tra le tre esperienze religiose, che oggi guardano verso un comune oggetto. Ma attenzione: questa relazione con l’alterità non nasce (in negativo) da uno sterile buonismo o (in positivo) dalla migliore intenzione di dialogare con gli ebrei e i musulmani. Per i cristiani, questo ritmo dove i singoli elementi, non solo non si adombrano tra loro, ma sono necessari l’uno all’altro, ciascuno rimanendo se stesso, trova in Dio, in quella relazione tra Padre e Figlio e Spirito Santo, la sua condizione di possibilità.
Vorrei farvi un esempio. Tra i diversi strumenti musicali, l’organo è abbastanza peculiare. Ogni canna produce una particolare nota; ma ci sono note che sono date dall’unità di differenti canne che non suonano all’unisono, bensì in quello che viene definito “armonico”. Perciò una nota, in realtà, è il suono di tre note insieme: il suono della nota del DO, come lo sentiamo in addizione di armonici, è dato dagli armonici di MI e SOL; il MI, dal DO e dal SOL; il SOL, dal DO e dal MI. Si tratta di differenti operazioni dello stesso accordo. Ciò che sembra unico, in realtà è uno (per cui c’è una distinzione interna, senza che un elemento oscuri l’altro, ma anzi … lo afferma).
«La meditazione musicale – scrive il filosofo Emile Cioran (1911-1995) – dovrebbe essere il prototipo del pensiero in genere»[1]. E, menzionando Bach (il principe del contrappunto), afferma: «Mentre ascoltate Bach, vedete germinare Dio. […] L’organo trasmette il brivido interiore di Dio. Unendoci alle sue vibrazioni […] ci dissolviamo in Lui»[2].
Ma anche per quanto riguarda la musica, se questo “dissolversi in Dio” non parte dall’esperienza concreta di dialogo con l’altro, rischia di diventare – per citare ancora Cioran – «una tomba di delizie, una beatitudine che ci seppellisce»[3].
Vi ringrazio per l’attenzione e, dalla quarantena che sto facendo da ormai una settimana, invio il mio più cordiale saluto a voi tutti e in particolare ai relatori.
Alessandro Clemenzia Alwe
[1] E.M. Cioran, «Lacrime e santi», in Arte 55, p. 64.
[2] Ibid.
[3] Ibid.